religione

L'ultima cena nell'arte 

Antonio Tarallo
Pubblicato il 05-04-2023

l’istituzione dell'Eucaristia

“Ora, mentre essi mangiavano, Gesù prese il pane e, pronunciata la benedizione, lo spezzò e lo diede ai discepoli dicendo: “Prendete e mangiate; questo è il mio corpo”. Poi prese il calice e, dopo aver reso grazie, lo diede loro, dicendo: “Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell’alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati. Io vi dico che da ora non berrò più di questo frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo con voi nel regno del Padre mio”. E’ il Vangelo secondo Matteo. Tutti conosciamo questo passo che ad ogni celebrazione eucaristica viene ricordato; viene fatta memoria di questo momento culminante della vita di Gesù: l’istituzione dell'Eucaristia. Oggi, Giovedì Santo, giorno che apre il Triduo della Settimana Santa la memoria sembra essere quasi ancor più forte, presente. Il momento descritto è topico, non c’è che dire. E anche l’arte pittorica più volte, nel corso della storia dell’arte, ha cercato di entrare in questo mistero. Ripercorriamo, allora, a sommi tratti questa storia di immagini e colori, di forme e sentimenti.

Per trovare una delle più antiche rappresentazioni dell’Ultima Cena bisognerebbe andare nell’antica basilica di Sant’Apollinare Nuovo a Ravenna: in questa chiesa, infatti, è custodito un mosaico che viene considerato una delle più antiche rappresentazioni pittoriche dell’Ultima Cena. Da evidenziare che manca il vino, mentre al centro della scena su un vassoio, trovano posto due grossi pesci, che fanno riferimento al miracolo della moltiplicazione. Anche in altre più che datate rappresentazioni mancano i due elementi - il pane e il vino - mentre è ben visibile - ricorre spesso nelle raffigurazioni - l’agnello, simbolo del Cristo, “agnus Dei”, agnello di Dio. Diversi autori hanno rappresentato un vassoio vuoto per indicare che il vero agnello sacrificale era Cristo stesso.

E’ durante il Rinascimento che la tavola della Cena di Cristo è abbondantemente arricchita da frutta e ortaggi, al gusto dell’epoca. Di questo momento storico così importante per l’arte, di raffigurazioni ce ne sarebbero non poche. Ne prendiamo - come esempio - solo due, assai differenti fra loro: quella di Leonardo da Vinci e del Tintoretto. Del primo, Leonardo da Vinci, conosciamo un po’ tutti la raffigurazione così lineare, così spoglia e quasi rarefatta. L’opera si trova a Milano, al Museo del Cenacolo Vinciano. Dinamicità e fissità dei movimenti; un Cristo al centro della tavola quasi spoglia se non con dei piatti e del pane. Uno dei capolavori di tutti i tempi. Poi, abbiamo uno degli ultimi lavori del Tintoretto, realizzato con l’aiuto del figlio Domenico. Si trova a Lucca, custodita all'interno della Cattedrale di San Martino. Una tela che contiene tutti i tratti caratteristici e innovativi di questo straordinario artista: la tavola dell’Ultima Cena è posta in obliquo per creare profondità; la scena attualizzata in una taverna con due servitori; Cristo che comunica gli apostoli ed emana una luce così forte da far spalancare le nuvole che avvolgono la scena e gli angeli presenti. E poi troviamo tutto il movimento dei corpi, delle pose degli apostoli che - in abiti dai colori sgargianti - reagiscono sorpresi all’annuncio del tradimento di Giuda.

Milano, Lucca e poi Roma. Siamo alla Galleria Borghese. Qui troviamo uno dei capolavori della pittura italiana del XVI: è L’Ultima Cena di Jacopo Bassano. L’artista seppur si sia ispirato al famoso dipinto leonardesco se ne differenzia per la drammaticità della scena, caratterizzata da pescatori scalzi nel momento decisivo in cui Cristo denuncia il tradimento di uno dei dodici. Colpisce sulla bianca e linda tovaglia una macchia rossa: è del vino che è stato sparso sulla tovaglia, accanto a un bicchiere. E’ il simbolo del sangue versato da Cristo.

Un passaggio veloce per arrivare al nostro vicino Novecento. Una delle più enigmatiche opere con soggetto dell’Ultima Cena è sicuramente quella dipinta dall’artista Dalì. Il dipinto è assolutamente originale: tutto è innovativo e provoca allo spettatore anche un certo sconcerto, a cominciare dall’ambientazione: l’interno di un ambiente con pareti trasparenti a forma di dodecaedro, poliedro a dodici facce, dodici come il numero degli apostoli. Al centro della bianchissima tavola - spoglia, che accoglie soltanto un pane spezzato e un bicchiere di vino - c’è Gesù Cristo; intorno a Lui, i dodici apostoli che, a capo chino, sono in silenziosa preghiera. Il tutto è avvolto da una luce - la Luce dall’alto - che si irradia sopra Cristo e che illumina anche tutta la scena: sembra quasi già di essere nella luminosa alba della Pasqua.

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